Hai sperimentato personalmente la lentezza della giustizia italiana e la lunga attesa è stata per te causa di stanchezza, sfiducia nella giustizia e più in genere nelle istituzioni?
Dunque, se il giudizio nel quale sei stato parte ha ecceduto la ragionevole durata prevista per lo stesso (3 anni per il primo grado, 2 per il secondo e 1 per il giudizio di legittimità), allora hai diritto al risarcimento del danno per l’equa riparazione.
Con l’introduzione della Legge 89 del 2001, il diritto all’equa riparazione dei danni subiti per la violazione del termine di ragionevole durata del procedimento, sorge per il fatto oggettivo del tempo trascorso in eccesso tra l’inizio e la fine di un giudizio, per cui non sarà necessario provare la colpa ex art. 2043 c.c. del Ministero cui compete risarcire il danno cagionato al cittadino, ma la responsabilità sarà di tipo oggettivo.
Lo strumento è stato approntato in ossequio a quanto sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sottoscritta e ratificata anche dalla nostra Repubblica, in particolare al dettato di cui all’art. 6, secondo il quale
“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”.
Ne discende che lo Stato, unitariamente considerato in tutti i suoi poteri ed in tutte le sue articolazioni strutturali, risponde non soltanto per la negligenza dei propri organi giudiziari, ma anche per il fatto stesso di non aver organizzato il proprio sistema giudiziario in modo tale da garantire con celerità ragionevole la domanda di giustizia (Sent. CEDU 26/10/88, Martins Moreira c/ Portogallo; Sent. CEDU 10/12/92, Boddeart c/ Belgio).
La c.d. Legge Pinto ha subito diversi “rimaneggiamenti” nel corso degli anni ed in particolare il rito attualmente in uso è stato realizzato sull’impianto di un procedimento monitorio, che meglio riesce a garantire le esigenze di celerità e snellezza di cui aveva bisogno la relativa procedura di indennizzo.
Pertanto, il contraddittorio è soltanto eventuale e da instaurarsi con apposita opposizione, all’esito della definizione del procedimento camerale, che si chiude con decreto emesso inaudita altera parte.
Il procedimento di cui all’art. 3 della Legge Pinto deve essere instaurato entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che chiude il giudizio presupposto del processo di equa riparazione.
L’attesa del passaggio in giudicato non è requisito di per sé stesso indispensabile, essendo necessario piuttosto che il giudizio presupposto possa considerarsi ‘chiuso’ ed il provvedimento che chiude il giudizio non più soggetto a gravami (si pensi al caso di una vertenza composta in via transattiva).
La domanda si propone con ricorso indirizzato alla Corte d’Appello, nel cui distretto è stato introdotto il giudizio presupposto.
Tuttavia, la proposizione della stessa è subordinata all’esperimento dei rimedi preventivi di cui all’art. 1-ter, pena inammissibilità della proposta domanda di equa riparazione, ad eccezione di quei processi per cui risulti già violato il termine di ragionevole durata alla data del 31 ottobre 2016, a norma del comma 2-bis dell’art.6.
Il giudizio di equa riparazione è esente per materia dal pagamento del contributo unificato, tuttavia soggiace al pagamento di diritti nella misura di € 27,00.
Ai fini allegativi sarà necessario produrre rigorosamente in originale ovvero copia autentica: tutti gli atti di parte, nonché verbali di udienza e provvedimenti del giudice ed infine il provvedimento decisorio che definisce il giudizio.
Entro un mese dal deposito del ricorso introduttivo, il giudizio è definito con decreto.
Nel caso la relativa domanda dovesse risultare fondata, il decreto di accoglimento va notificato unitamente al ricorso introduttivo del giudizio di equa riparazione, entro il termine perentorio di un mese dalla comunicazione del decreto stesso, da notificarsi al Ministero presso l’Avvocatura dello Stato territorialmente competente.
La notifica produce comporta acquiescenza al relativo provvedimento.
La mancata osservanza del termine perentorio di notifica rende improponibile la una nuova domanda, al pari di provvedimento di rigetto.
Nello stesso termine è ammessa opposizione avverso il decreto che decide sulla domanda di equa riparazione, mediante giudizio a cognizione piena e definito con apposito decreto dalla Corte d’Appello in composizione collegiale, con esclusione dal Collegio del consigliere che ha pronunciato il decreto gravato dalla relativa opposzione.
Tuttavia, se da una parte si è riusciti a concentrare in un ristretto arco temporale la fase del riconoscimento del diritto in capo ai ricorrenti, dall’altra non si è riusciti a garantire altrettanta celerità e speditezza nell’organizzazione, ma soprattutto, nell’esecuzione dei pagamenti.
Per molte Corti d’Appello è in vigore un piano straordinario di rientro per la gestione dei pagamenti ex legge Pinto, per cui per i vecchi provvedimenti di condanna risultano competenti le Corti d’Appello, mentre per i nuovi decreti l’onere della liquidazione è ricaduto sulle succursali della Banca d’Italia territorialmente competenti, con le quali è stata sottoscritta apposita convenzione.
L’esperimento della fase esecutiva ovvero il ricorso al giudizio di ottemperanza sono concessi soltanto dopo che sono decorsi sei mesi dalla presentazione di apposita dichiarazione sostitutiva da parte dell’indennizzato, finalizzata all’ordinata esecuzione dei pagamenti.
Il mancato ovvero il non corretto adempimento del suddetto onere, comporta l’impossibilità di procedere giudizialmente per vedersi liquidato il proprio credito.
A ciò aggiungasi l’ulteriore termine dilatorio di 120 giorni in favore della Pubblica Amministrazione decorrenti dalla notifica del titolo esecutivo, che allunga ulteriormente i tempi di liquidazione.
Spirato l’ennesimo termine, l’avente diritto potrà finalmente optare per una classica esecuzione, con tutti i limiti relativi all’attività esecutiva nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ovvero per il giudizio di ottemperanza, affinché si ‘costringa’ l’amministrazione intimata ad adempiere all’ordine del giudice di eseguire il pagamento dovuto in favore del cittadino, pena la nomina di un commissario ad acta che si sostituisca al ministero debitore e persistentemente inadempiente.
2 Comments
Buongiorno attendo anche io dal 2013 che il mio ex marito dia il mantenimento per i suoi figli siamo arrivati al 2022 ancora niente lui continua la sua vita lavorando in nero senza nessuna responsabilita ne come presenza e ne a livello economico.nel frattempo i ragazzi sono cresciuti praticamente senza di lui e di conseguenza non vogliono piu sentirne parlare ma ancora oggi la scuola comunque vorrebbe firma di entrambi i genitori ma lui e’inesistente.Io personalmente sono ignorante in materie di leggi ma credo che 9 anni di attesa sono troppi anche perche i ragazzi hanno bisogno della figura paterna e del sostegno economico prima della maggiore eta ora chi mi ripaga a me che ho dovuto fare i salti mortali da sola senza tutelarci.?
Salve, la problematica che lei ha esposto è però differente. Se vuole ricevere una consulenza ci contatti pure.